Allenarsi tramite il monitoraggio delle concentrazioni di lattato durante gli allenamenti.
E’ la novità del momento e come tutte le novità sta spaccando l’opinione dei milioni di appassionati di ciclismo. Oggi, in questa sede, cercheremo di enucleare questa nuova metodologia di allenamento analizzando in modo oggettivo (faremo del nostro meglio) i pro e i contro.
Innanzitutto di cosa si tratta?
Tutti noi sappiamo che il nostro organismo funziona per tre sistemi energetici: metabolismo aerobico che vede come substrati energetici principali gli acidi grassi e i carboidrati. Il metabolismo anaerobico lattacido che predilige i carboidrati come fonte di energia ed infine il metabolismo anaerobico a-lattacido utilizzato solo negli sforzi di brevissima durata (sotto i 10s) che utilizza unicamente i depositi di fosfocreatina per la produzione di ATP.
Nella pratica del ciclismo ovviamente i due meccanismi utilizzati maggiormente sono i primi due aerobico e anaerobico lattacido.
Se il primo può essere usato veramente a lungo utilizzando un substrato energetico pressochè infinito (i grassi), quello anaerobico lattacido vede un suo utilizzo limitato; per due motivi. In primis perché le scorte di carboidrati sono limitate e in secundis perché utilizzando questi ultimi, in assenza di ossigeno, a scopo energetico causerà sempre una massiccia produzione di acido lattico che a sua volta si dividerà in LATTATO e ioni H+. Questi ultimi causeranno acidosi muscolare, sensazione di bruciore e quindi fatica accumulata.
L’innesco di questi metabolismi non dobbiamo vederlo come un qualcosa di netto e definito: già a partire dalle basse intensità c’è una, componente anaerobica: lo start di avvio della glicolisi che se avviene in presenza di ossigeno non vedrà la produzione di acido lattico riuscendo a gestire il piruvato risultante da tale processo. Ma nel caso in cui non abbiamo un’alta efficienza mitocondriale anche la glicolisi aerobica vede la produzione di lattato non potendo gestire determinate quantità di piruvato. Infatti, se in zona 1 potremmo vedere addirittura una diminuzione delle concentrazioni di lattato nel sangue anche rispetto ai valori basali (ricordate che il lattato è un substrato riconvertito a glucosio e riutilizzato dal metabolismo aerobico?), in zona 2 inizieremo a notare un progressivo aumento delle concentrazioni di lattato, sintomo che lo sforzo fisico non viene più sopperito tramite vie aerobiche lipolitiche, ma anche per vie glicolitiche, fino ad arrivare alla famosa LT1 (prima soglia del lattato- Lactate Threshold 1), passando quindi dalla zona 2 alla zona 3. Statisticamente potremmo dire che la prima soglia lattacida vede una concentrazione di 2mmol/l (ma questo è molto semplicistico). Se vi dicessi infatti che dal punto di vista fisiologico non esiste alcuna soglia aerobica?
Via via che l’intensità aumenta ci sarà sempre meno ossidazione di grassi e sempre più utilizzo di carboidrati e glicogeno con un graduale aumento della produzione di lattato. Lattato che fino a soglia anaerobica viene ben gestito, anche tramite il fenomeno dello shuttle lattacido (la capacità del nostro organismo di riutilizzare il lattato in diversi processi) evitando un suo accumulo esponenziale. Dalla seconda soglia lattacida, standardizzata a 4mmol/l, sopraggiunge l’incapacità del nostro organismo nel gestire simili concentrazioni di lattato, essendo sempre più preponderante l’utilizzo del metabolismo anaerobico lattacido.
Piccolo inciso: da qui si capisce il motivo per cui avere un’ottima gestione dell’ossigeno (alta VO2max) ci permetta di essere più resistenti, ritardando l’entrata in gioco del metabolismo anaerobico, migliorando la gestione del lattato e conseguentemente alzando il valore di LT2.
*E’ un casino, signori, lo sappiamo, ma era doveroso spiegare tutto ciò ( o per lo meno tentarci) prima di arrivare al nocciolo del discorso*
Per quanto detto si comprende che monitorando costantemente, durante i nostri allenamenti, la concentrazione di lattato ematico avremo un feedback chiaro, preciso ed immediato riguardo l’assetto metabolico che abbiamo indotto tramite le esercitazioni eseguite. Saremo quindi sicuri, detto semplicisticamente, di trovarci nella zona target durante tutto l’allenamento, dal momento che le zone possono variare, soprattutto durante gli allenamenti più lunghi.
Inoltre siamo sicuri di eseguire ogni seduta HIT all’intensità ottimale: monitorando infatti, dopo ogni ripetuta, la concentrazione di lattato possiamo valutare il suo andamento. Se le concentrazioni stanno salendo troppo repentinamente è probabile che salteremo di lì a poco. Dobbiamo quindi abbassare l’intensità per accumulare maggior tempo sopra soglia anaerobica (LT2). Vero punto chiave per un miglioramento delle caratteristiche aerobiche.
Infine possiamo tenere traccia costantemente della nostra gestione del lattato constatando, ad esempio, le sue concentrazioni dopo i recuperi a bassa intensità.
Una metodologia di allenamento quindi davvero evoluta che permette di allenarsi nella maniera più precisa ad oggi conosciuta probabilmente. Ma ne vale la pena?
Analizziamo due dati insieme, ti va?
I costi.
Un lattacidometro mediamente costa 500 euro e le strips usa e getta (ovviamente ahah) circa 2,5 euro l’una. Questo significa che ad un amatore che in un mese si testa 40/50 volte il lattato (sto basso) costerà 100 euro mensilmente. 1200 euro all’anno oltre al costo iniziale di acquisto dell’apparecchio. Praticamente ben oltre il costo di una preparazione curata da un professionista!
La conoscenza tecnica della persona.
Non prendiamoci in giro. Non è per tutti. Se una persona non conosce e non sa valutare determinate variabili rischia di prendere delle cantonate belle e buone. Ad esempio, lo sapevi che le concentrazioni di lattato nel sangue variano in base all’intake glucidico durante l’allenamento? Ma anche in base all’apporto glucidico nella dieta in generale!! Lo sapevi inoltre che le concentrazioni di lattato ematico variano in relazione alla temperatura dell’ambiente in cui ci si allena?
Tutte variabili ben gestibili, ma bisogna avere le conoscenze per valutarle.
Piccole scomodità.
Tutti noi sappiamo che il prelievo ematico avviene tramite dei pungi dito semplicissimi. La goccia di sangue su cui eseguiremo il test è figlia della microcircolazione sanguigna. Perfetto.
Hai presente d’inverno quando hai freddo alle mani? Magari ti si informicolano pure le punte delle dita. Bene, in quel momento la microcircolazione periferica è praticamente assente. Morale? Voglio vederti a fare un prelievo ematico. Soprattutto senza la conoscenza su come riuscire a spostare il sangue dove serve.
Ma non finisce qui.
Se vuoi perseguire questa via dovrai portarti dietro un numero di pungi-dito equivalente a quanti prelievi necessiti in quell’uscita specifica. Dovrai avere con te dei guanti in lattice e il barattolo delle strips; il prelievo deve essere fatto nell’ambiente più controllato possibile sia per un discorso igienico e di sicurezza personale sia per non contaminare i risultati (molto facile per una mano inesperta).
Difficile la questione, vero?
Direi che è giunto il momento delle conclusioni.
In ambito professionistico questa metodologia la reputo uno strumento utilissimo per innalzare ulteriormente gli standard qualitativi delle preparazioni atletiche. Questo perché i test saranno fatti, si presuppone, da tecnici qualificati per la sicurezza degli atleti e per l’attendibilità dei risultati. Inoltre in questo ambiente ovviamente le spese elencate sopra sono irrisorie e diventano un vero e proprio investimento.
Al contrario in ambito amatoriale non vedo, in tutta onestà, i pro giustificare neanche lontanamente i contro. Dare uno strumento così specifico in mano ad una persona non qualificata è come far guidare a me la Ferrari di Leclerc… non la sfrutto e rischio di farmi male.
Da non sottovalutare poi un discorso psicologico. Sappiamo bene che la costanza batte la perfezione e far decadere il piacere di un’uscita in bici con continue interruzioni mina il percorso di preparazione sul lungo periodo.
Perché spendere tutti quei soldi in questo modo, quando, molto più comodamente e spendendo molto meno, tramite un test di profilazione metabolica un preparatore atletico può dirvi come allenarti, come organizzare al meglio gli esercizi ad alta e altissima intensità in relazione ai recuperi, il tutto individualizzato su di te?